Villa Palagonia è tra le poche costruzioni storiche rimaste intatte a Bagheria, vicino a Palermo.

Visitata da illustri viaggiatori settecenteschi, in particolare di chi faceva il Grand Tour, giovani rampolli delle nobili famiglie europee che capitolavano il loro viaggio italiano di formazione in Sicilia, proprio di fronte alle controverse e raccapriccianti decorazioni tufacee della villa Palagonia a Bagheria. Viaggiatori inglesi, francesi, tedeschi, polacchi, da Brydone a Goethe, al poeta neoclassico Rezzonico, a Giovanni Meli tra gli italiani. Tutti fecero visita alle sue deformità, alle sue originalità, incuriositi dalle letture delle guide che narravano di questa villa straordinaria e fatata. La villa della beffa, della derisione, dello sgomento con il suo fantastico complesso di ornamenti che affiorano su ogni superficie, all’interno come pure all’esterno. Elogio dello sfarzo e trionfo del fronzolo, dell’eccentricità. Herder la definì «il palazzo incantato». Rezzonico della Torre, invece, «la casa di Circe». Villa Palagonia, storicamente nota come “la villa dei mostri”, è la costruzione di una illogica favola barocca, teatrale e spettrale, che stabilisce la sua eccezionalità nella convivenza forzata con l’assurdo e il deforme. Eppure una costruzione così densa di fascino, dall’illustre passato storico e culturale. Oggi forse quasi nessuno proverebbe il medesimo orrore e terrore che avvertirono gli antichi visitatori settecenteschi, girando nei suoi interni sfarzosi, dove quasi nessuna superficie è lasciata spoglia, dove le superfici stesse confondono i loro contorni in un ornamento continuo e a volte stucchevole.

Aggiornata nel 1748 dal settimo principe di Palagonia Francesco Ferdinando di Gravina e Alliata (di cui Tono elabora un ritratto sulla base di un dipinto dell'epoca) su un complesso del 1715, a lui si devono le statue in pietra di tufo che si affacciano dal labirinto d’ingresso, figure animali e antropomorfe, di musicisti caprini e dame e cavalieri suini che danzano beffardi davanti agli occhi. Il coronamento dell’ibrido, del carnevalesco che cozzava all’epoca con il gusto neoclassico e attico delle dimore signorili di Bagheria, coma quella apollinea della Villa Valguarnera, antica dimora della famiglia degli Alliata di Salaparuta educati alla scuola dell’ordine. Creazioni di una mitologia ibrida, quelle che accompagnano il visitatore verso la porta d’ingresso.

Raccontano le guide per i Grand Tourists settecenteschi delle “bestialità” contenute all’interno, di una sala degli specchi creata per mettere a disagio gli ospiti che si vedevano riflessi in giochi da funamboli e che venivano fatti accomodare su poltrone che davano le spalle l’una alle altre, perché la conversazione salottiera cara alla nobiltà non potesse trovarsi a suo agio. Sedie traballanti con i piedi mozzati e le sedute trafitte di spilli e tutt’intorno una atmosfera cupa, un moltiplicarsi senza fine di immagini mostruose, altorilievi marmorei e policromi, soffitti affrescati di bestie d’ogni genere, eterne balconate dipinte ad effetto tromp l’oeil da cui si affacciavano nelle sale oscuri personaggi fantastici. Fontane senz’acqua, figure e oggetti ammassati senza criterio, allineati o abbandonati in ogni angolo a rasentare l’asfissia, per libero e puro sfogo al capriccio del suo committente. Ed infine lui, il principe di Palagonia, che Giovanni Macchia nelle sue annotazioni «Et in Palagonia ego» ricorda come un personaggio contraddittorio di per se stesso, incipriato come un uomo d’altri tempi ma sfuggente, che si comportava come se la vita non gli appartasse, solitario, poco avvezzo alla conversazione e compiaciuto delle dicerie che la sua misteriosità alimentava, al fascino e lo stupore che la sua “opera”, la villa, suscitava nelle menti dei suoi contemporanei. Il principe di cui Goethe diceva «non è un genio, ma un demente, senza un briciolo di fantasia che sarebbe bestemmia attribuirgli».

Per maggiiori notizie storiche visitare la pagina in retre dedicata alla Storia di villa Palagonia.

v. mostri Palagonesi